In ricordo dell’imboscata fascista

La sera dell' 8 maggio 1944 "Binda" assieme ad un altra dozzina di partigiani, si stava recando verso Malga Campetto per partecipare ad una riunione di comandanti. Li avrebbe accompagnati fino al comando Oscar dal Maso "Tarzan" in loro attesa presso contrà Busellati.

Durante il trasferimento notturno la pattuglia si fermò, per motivi mai chiariti, alla Riva, una minuscola frazione ai piedi di Staro. Nell'abitato, poche ore prima, era giunto un gruppetto di 4-5 fascisti, evidentemente informati del passaggio dei partigiani perché si erano appostati senza indugi in una barchessa al di là della strada. 

Due o tre partigiani si staccarono dal gruppo per andare a chiamare un'anziana signora, Rosina Gusela, la cui abitazione era proprio dirimpetto all'edificio dove si erano celati i fascisti. Tardando la donna a rispondere, i giovani arretrarono verso la barchessa per ripararsi dalla pioggia. Fu allora che i fascisti scatenarono una nutrita sparatoria e un lancio di bombe a mano contro il gruppo di partigiani, colpendone quattro...

Domenico roso "Binda", gravemente ferito, riuscì a nascondersi pur rimanendo in prossimità delle abitazioni. Al mattino un uomo della contrada lo caricò su un carretto sul quale aveva steso un materasso e lo condusse fino alla contrada Grijo, alla quale si proponeva di far venire da Torrebelvicino il Dr. Giovanni Pontivi. Ma Binda spirò prima che il medico potesse raggiungerlo.

 Severino Sbabo, impossibilitato a camminare, dopo essersi celato in contrada sotto una catasta di pali fu catturato dai fascisti che lo portarono a Cereda di Cornedo, dove fu torturato e fucilato.

Stefano (Nino) Stella "Traingher", ferito all'addome e con la vescica perforata, riuscì a raggiungere località Busellati dove fu accolto dalla pattuglia di "Tarzan" che inviò staffette a Recoaro, Valdagno e a Schio per far venire un medico. Poiché questi tardava a giungere, i partigiani presero la decisione di trasportare il ferito a Torrebelvicino, attraverso i boschi di Civillina.

Dalla sua abitazione i familiari lo condussero quindi all'ospedale di Schio, dove Nino spirò poco dopo.

Fonte: libro "Vallortigara giugno 1944" di Ugo de Grandis

 

                                                                    Domenico Roso                                            Severino Sbabo                                      Stefano (Nino) Stella 

 

   Questa lapide la si raggiunge anche percorrendo il percorso "C" che da Staro porta ai Sericati. Clicca qui per vedere il percorso.

  

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L'imboscata Partigiana alla Madonnetta

 

Il passaggio dei tedeschi in ritirata.

 

28-29 aprile 1945.

Inchiesta di E. Trivellato.

Nel tardo pomeriggio di sabato 1945 ebbe luogo a Staro, alla curva del Gasteghe, subito sotto la contrada Riva, una "battaglia" fra i tedeschi in ritirata e i partigiani. Vi fu un buon quarto d'ora di fuoco, alcuni feriti, la resa di alcune centinaia di tedeschi ed il trasferimento dei prigionieri a Recoaro. Verso le dieci della sera stessa i tedeschi vennero su da Valli del Pasubio con 2 carri armati, fecero irruzione nelle case della Riva e si appostarono al Passo Xon. Il mattino dopo, il giorno della liberazione, il parroco di Staro fu arrestato in chiesa durante la messa ma non vi fu rappresaglia e nel primo pomeriggio i 2 mezzi corazzati e con essi gli ultimi tedeschi ridiscesero a Valli facendo saltare con le mine un buon tratto di strada sopra la contrada Griglio e tagliando fuori il paese per parecchio tempo.

Sulla scorta delle testimonianze degli abitanti del luogo, specie di quelli della contrada Riva, ho ricostruito gli avvenimenti di quei 2 giorni. Il ricordo di alcuni è vivissimo, sopratutto in coloro che allora erano ragazzi e quindi partecipavano alle vicende con la curiosità e l'incoscienza dell'età; in altri la memoria è un po' sbiadita o incompleta. L'insieme comunque è confermato da più versioni.

Il transito saltuario di truppe, a piedi, con carrette e cavalli e qualche camion, sia a gruppi che in piccole colonne era iniziato a Staro da parecchi giorni prima del 29 aprile. Il tempo era incerto con tratti di pioggia sottile che si alternavano a schiarite.

La strada erta e tutta curve e tornanti che da Recoaro porta a Valli del Pasubio sale fino al passo Xon per poi arrivare subito a Staro; di qui attraversa la contrada Riva, si inoltra in mezzo ad un'altissima abetaia e dopo la curva del Gasteghe ed un altro tornante scende alla Fonte Reale, al Griglio e poi alla fonte Regina; infine arriva a Valli.

Questo è il percorso che doveva seguire una colonna tedesca, sembra proveniente da Lonigo, che alle Alte ebbe l'idea o fu costretta a girare per Valdagno e Recoaro. Infatti il percorso è piuttosto impervio per gli uomini ed i cavalli e in quel momento si presentava pericoloso perché i lati della strada sovrastano boschi verdeggianti e quindi buon riparo per le pattuglie di partigiani armati; questi erano quasi sempre presenti in quelle vallate ed erano per la massima parte provenienti da Recoaro e tutti esperti conoscitori del luogo. in quel pomeriggio di Sabato transitò quindi per Staro questa colonna della Wehrmacht, con l'armamento al completo e con robuste carrette trainate da cavalli altrettanto robusti.

Fin dai giorni precedenti molte famiglie di Staro si erano trasferite nelle contrade alte, fuori dal passaggio dei militari, perché avevano vissuto le paurose esperienze dei 42 o 43 rastrellamenti condotti nella loro zona dalle SS e dai fascisti. I ragazzi, oggi adulti, ricordano ancora come un'avventura l'aver dormito nei fienili sotto le tezze; alcuni invece restarono in paese e nelle contrade su strada.

I partigiani avevano probabilmente seguito dall'alto dei boschi tutto il procedere della colonna tedesca e forse avevano informazioni che era l'ultima, perché le pattuglie che operavano nella zona erano collegate a tutta la zona di Recoaro. Viene riferito che in contrada Riva giunse voce dell'arrivo della colonna e vi fu' un invito a chiudersi a casa. Ma per i ragazzi dai 12 ai 17 anni come Giancarlo Busellato, la Cia Dalla Riva, la Teresina, l'Angelin Coli ed altri la notizia che sarebbero passati i tedeschi fu come un invito al cinema, e quindi sono i testimoni oculari più vicini al fronte e più concordi.

Quando la punta avanzata della colonna in ritirata giunse al ponte dell'Ovo, all'ingresso di Staro verso il passo Xon, Francesco dalla Riva ebbe uno scambio di parole con un Maggiore. Francesco, allora trentaduenne, detto in paese "Checco della cooperativa", di cui ne era gestore con la sorella Rosina, conosceva perfettamente il tedesco, per Staro fu una fortuna, in quanto era stato per molti anni a lavorare in Germania. La Rosina riferisce che poi la colonna giunse alla curva della Villa Rosa e vi si fermò un attimo perché il maggiore mandò un militare a richiamare Francesco per averlo come interprete. Secondo quanto riferisce la sorella, "il Checco" accettò in cambio dell'assicurazione che non avrebbero fatto saltare il tratto di strada sopra al Griglio che era minato. La Maria Tessaro, perpetua, racconta che il parroco era in solaio ad osservare il passaggio della colonna e che un ufficiale venne in canonica per chiedere una persona di Staro, la quale con la bandiera bianca li accompagnasse fino a Valli. Alla richiesta il parroco Don Antonio Zilliotto rispose che l'uso della bandiera bianca comportava il disarmo; questo non fu accettato e seguirono quindi gli accordi con Francesco Dalla Riva.

Fu cosi che i ragazzi della Riva raccontano di aver visto arrivare i tedeschi con il "Checco" in testa che faceva da portabandiera. 

Quando la colonna si trovò con la punta avanzata al capitello della "Madoneta" (poco sopra contrà Griglio) e con la retroguardia alla fine degli abeti alla Riva (900 metri di colonna), i partigiani dall'alto-nel versante opposto della stretta valle- intimarono l'alt. Essi si trovavano attestati su di un fronte (circa 50 metri) che va dalla tezza del Coli, ad uno sperone verso Valli. La loro posizione tattica più elevata si presentava in favore rispetto alla colonna snodata nella strada sottostante, in bellavista e senza molti ripari. Dalla Tezza del Coli giunsero a gran voce intimazioni di resa, parte in italiano e parte in tedesco; invece i militari decisero di appostarsi in difesa ed ebbe inizio la "battaglia". 

Vi è chi racconta di colpi di mortaio sparati dalla tezza del Coli sulla curva ad U del Gasteghe, alcuni invece non li ricorda, altri lo negano decisamente. In proposito ci sembra interessante la versione di Angelo Dalla Riva (Angelin Coli) fin da ragazzo un patito d'armi e di esplosivi ed oggi appunto responsabile del brillamento delle mine nelle miniere di ferro di Aubouè in Francia; con lui mi sono recato alla Tezza per una ricostruzione panoramica dei fatti. L'Angelin Coli, allora diciassettenne, fu un recuperante infaticabile che settacciò tutta la zona operativa; infatti nella Tezza di suo padre trovò bossoli di fucile mitragliatore inglese Brenn, inoltre bossoli di normali fucili, mentre a suo avviso non fu usato il parabello per la corta gittata; egli rammenta che i partigiani lanciarono bombe a mano sul pendio della collina, probabilmente per impressionare i tedeschi con un gran rumore ed apparire in molti di più di quanti non fossero (a Staro si parla di trenta/quaranta). Ho accertato che davanti alla postazione dei fucili mitragliatori esistono ancora oggi due alberi troncati a metà. Tutti indistintamente inoltre ricordano che nella sparatoria parecchi cavalli caddero morti e vennero sparsi armamenti, materiali e cassette in dotazione.

Al fuoco dei partigiani prontamente risposero i Tedeschi con uguale intensità, ma una parte di militari riuscì a saltare giù nei "prati lunghi" e a disperdersi su per Cavrega. Silvestro dalla Riva, che si trovava al "Molin del Broca", rammenta di un giovane ufficiale spaventato che con la carta topografica gli domandò informazioni. Altri militari invece raggiunsero Valli a piedi per chiamare rinforzi. La "battaglia" vera e propria durò una quindicina di minuti, forse meno, tenendo conto che la durata di fuoco dei partigiani non poteva essere molto lunga, sia per l'ingombro delle munizioni, che non si conciliava con l'esigenza di mobilità, sia per la disponibilità modesta degli armamenti. Un fatto inspiegabile per quelli della Riva è il tiro molto alto dei partigiani; le pallottole fischiavano tra gli abeti; numerose sventagliate colpirono i muri alti della contrada sui quali restarono i segni. Ciò farebbe pensare che i partigiani volessero sopratutto intimorire i tedeschi per farli arrendere. Alla fine infatti i militari furono costretti a deporre le armi a causa della posizione infelice e di alcuni feriti. C'è chi riferisce di un paio di morti ma le versioni sono troppo contrastanti. Con la resa i partigiani discesero dalle colline a riunire i prigionieri, (50-100-200???) che furono poi avviati lungo il sentiero che porta alla tezza del Coli, ai Busellati, a Rovegliana e di qui a Recoaro. Un militare ferito ad una gamba fu accompagnato fino a Recoaro. Intanto il parroco Don Antonio Ziliotto aveva chiamato l'Arturo Sbabo, apprendista panettiere presso L'Enrichetta "baiolina" per scendere sul posto. L'arturo, fratello di quel partigiano di Staro Severino Sbabo che fu ucciso in seguito all'agguato dei fascisti in contrada Riva, (di cui sopra ne è riportata la storia) ricorda un particolare, cioè di essersi imbattuto in un soldato tedesco, a terra ferito, in un appezzamento seminato a granturco. Si racconta infine da più versioni che il parroco fece portar su in paese un militare ferito e lo sistemò presso le Suore Campostrine.

Tra i partigiani in quello scontro restò ucciso Antonio Storti "Sandrino" della Brigata Stella come ricorda la lapide posta accanto al capitello. 

Il trambusto che seguì alla battaglia durò abbastanza a lungo sia per il problema dei prigionieri che per la raccolta di armi e di alcuni materiali. I partigiani infine se ne andarono a Recoaro e la gente della contrada Riva restò su strada o nelle case, ancora intimorita dalla violenza dello scontro. Si era ormai all'imbrunire e tutta la zona appariva ormai come un campo di battaglia dopo la disfatta. Anche se la gente di Staro non lo sapeva, l'arrivo di un altra colonna da Recoaro era da escludersi e nessuno forse sospettò un possibile ritorno da Valli. Comunque in serata altre famiglie si trasferirono nelle contrade alte.

Intanto a Valli erano giunti probabilmente alcuni militari che riuscirono a saltare oltre la curva del Gasteghe. Da parte di un qualche comandante tedesco fu deciso di inviare a Staro un paio di cingolati per dare man forte alla truppa rimasta bloccata alla Riva. Così, verso le dieci, undici della sera stessa, si udì in valle la ferraglia dei carri armati che salivano, erano sicuramente due e di piccolo tonnellaggio. A quel rumore di cingoli, gli abitanti rimasti alla Riva, ebbero un momento di terrore, perché sapevano benissimo cos'era successo alcune ore prima. Gli udirono fermarsi appunto alla curva del Gasteghe e poi in contrada. Irruppero poi nelle case per cercare i responsabili dell'attacco, ma quella sera non vi fu rappresaglia; poi salirono verso Staro e alla villa Rosa che era vuota ed aprirono la porta d'ingresso con una bomba a mano.

I due mezzi corazzati si avviarono infine al passo Xon, il Piero Angelina, che durante la notte circolava ancora nella zona, si avvicinò tutto contento credendo che fossero arrivati finalmente gli americani ma quando udì attorno ai carri delle voci che paravano in tedesco si precipitò subito nel bosco.

A passo Xon, c'era allora un modesto edificio sede di un posto di blocco e con una stanga di confine tra Recoaro e Valli. Un carro armato, anzi un suo conducente, non trovò di meglio che entrare verso un muro del fabbricato ed uscire da quello opposto, convinto di sistemarsi nella posizione migliore per controllare entrambi i tratti di strada. Da un punto di vista tattico la manovra era da manuale militare, se non fosse stato che al di la del muro c'era uno strapiombo che egli vide solo appena uscito, e patapunfete giù per ritrovarsi infondo con una "masiera" che gli impediva di raggiungere la strada sottostante. L'altro carro fece il giro della curva e sparò dritto sulla "masiera" per fare strada al compatriota semi capovolto. I due carri restarono al passo tutta la notte, forse per proteggere eventuali gruppetti sparsi di militari tedeschi che nella ritirata si fossero attardati per qualche intoppo.

Il mattino successivo era domenica 29 aprile, nelle nostre zone il giorno della Liberazione. Una piogerella sottile cadeva a strati su Staro e il Giancarlo ricorda di essersi recato dalla contrada Riva in paese per andare alla messa "prima" alle sette; sistemato vicino al coro egli rammenta chiaramente, alcuni particolari restano impressi per sempre, che durante la messa un ufficiale tedesco biondo ed alto entrò dalla parte della Sagrestia con due altri che si posero ai lati della porta. Lorenzo Sbabo, conferma che si trattava di un ufficiale SS giovanissimo. La Luigia Sbabo racconta che l'ufficiale andò all'altare e toccò sulla schiena con il calcio del fucile il celebrante che stava preparandosi all'Elevazione; Don Antonio si voltò e fece segno di attendere, per cui la messa finì con 2 tedeschi ai lati dell'altare: erano presenti tre suore, qualche anziano ed alcune donne. Il parroco fu condotto fuori a lato della chiesa con gran timore della gente, che pensava volessero fucilarlo. La stessa impressione, lo riferisce la sorella, ebbe anche Francesco dalla Riva, l'interprete che era riuscito a mettersi in salvo dalla "battaglia" del giorno prima. Il parroco lo chiamò perché spiegasse ai tedeschi che il paese di Staro non aveva alcuna colpa dello scontro della sera prima; ma Don Antonio ebbe un'idea ancora più geniale: in precedenza si era interessato in Vaticano per rintracciare a Roma la sorella (suora) di un alto ufficiale del Comando tedesco di Recoaro e gli aveva lasciato il suo biglietto da visita. Alla vista di quel documento l'ufficiale delle SS ed un capitano furono visibilmente impressionati. Tra una cosa e l'altra i tedeschi si convinsero che gli abitanti di Staro erano estranei all'attacco dei partigiani. Francesco spiegò loro che di certo non si sarebbe messo in testa alla colonna con la bandiera bianca se fosse stato a conoscenza, lui e quindi tutto il paese, dell'attacco dei partigiani di Recoaro. Forse, militarmente ormai in ritirata, si resero anche conto dell'inutilità di una rappresaglia contro della povera gente inerme; sicuramente però i militari ed il comandante che si trovavano a Staro in quel giorno non avevano l'animo sanguinario che altri, in altri luoghi, invece dimostrarono. 

Nel primo pomeriggio del 29 aprile i tedeschi caricarono il loro ferito e partirono. Staro aveva concluso il suo Travaglio!

 

Staro 9 luglio 1977

E. Trivellato, Quaderni della resistenza-Schio, Edizioni Gruppo Cinque, Marzo 1980

 

E stata ripulita il 20/2/2016 dai giovani volontari di Staro che l'hanno riportata allo stato originale dopo molti anni di incuria.

 

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